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Il decreto 155/97 che è stato abrogato il Reg ce 852/04 si apre con le disposizioni dell’ articolo l poste sotto il titolo «Definizioni e finalità», Sennonché il comma l dell’articolo medesimo in effetti, più correttamente, si sarebbe potuto titolare come dedicato ad individuare il «campo di applicazione» del decreto che obbliga ad avere in azienda il Manuale HACCP.
Vengono dunque individuati essenzialmente gli oggetti materiali – e neppure tutti, ave si consideri che nei successivi articoli i «controlli hccp» vengono previsti pure, per esempio, sull’«etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari» oppure sul «comportamento igienico del personale» – sui quali si svolgono le attività concretizzanti il «controllo» disciplinato dal decreto in esame.
Tornando al testo del surriportato comma l va evidenziata la necessità di adottare la più ampia nozione possibile circa l’espressione «prodotti alimentari» usata al punto a). Invero si sarebbe indotti ad individuare questi nel prodotto «finito»: pronto, cioè, per la distribuzione commerciale e con l’esclusione sia della sua fase di «semilavorato» sia della originaria vita delle sue «materie prime» ovvero dei suoi «ingredienti».
Conclusione interpretativa, quest’ultima, cui si viene indotti, ad una prima lettura, anche dal testo del punto b) dello stesso comma l: laddove, cioè, si è ritenuto di menzionare espressamente solo alcuni specifici «ingredienti» – «gli additivi alimentari, le vitamine, i sali minerali … e gli altri additivi» – come altro oggetto materiale delle attività in cui si concretizza il controllo.
Sennonché questa prima, più restrittiva, interpretazione va decisamente superata quando già si consideri che:
– il comma 5 dello stesso articolo l individua come spazio operativo della nuova normativa decretizia anche «tutte le fasi della produzione, della fabbricazione, della lavorazione … »: con quel «tutte” lasciando inequivocabilmente intendere anche i momenti in cui quelle attività lavorative si svolgono sulle «materie prime” ovvero sugli «ingredienti» e sui «semilavorati» del prodotto alimentare;
– ancor più significativamente il testo dell’articolo 2, nel’individuare i possibili oggetti di una delle operazioni in cui il controllo si concretizza l’ «ispezione» – espressamente menziona al comma l sia de materie prime, gli ingredienti, i coadiuvanti tecnologici e gli altri prodotti utilizzati per la preparazione e la produzione dei prodotti alimentari» (punto b) sia «i prodotti semilavorati» (punto c) e li tiene espressamente distinti da «i prodotti finiti» (punto d).
Risulta dunque doveroso concludere che l’espressione «prodotti alimentari, adottata al comma 1, punto a), dell’articolo 1, deve essere interpretata nella sua più ampia portata di «sostanze alimentari» (1) ovvero di categoria merceologico-giuridica comprensiva anche delle «materie prime» (od «ingredienti») e dei «semilavorati» alimentari.
Ugualmente ampia, ma senza particolari difficoltà interpretative al riguardo, si deve reputare la portata della categoria di cui al punto c) del comma 1 in esame: «c) i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti di cui alle lettere a) e b)»,
Di tale disposizione ci sembra il caso di evidenziare che:
– torna in essa il termine «prodotti» e questa volta riferito anche alle sostanze di cui alla lettera b) precedente (sugli additivi alimentari, le vitamine, …») ovvero a sostanze alimentari che sono pacificamente «ingredienti. dei «prodotti alimentari» intesi in senso stretto: il che fornisce l’ulteriore prova che i termini «prodotti» e «prodotti alimentari» vengono adottati in senso ampio (o, se si vuole, pure improprio);
– «materiali» ed «oggetti» destinati al contatto sono da individuare in materiale di imballaggio, preconfezionamento, preincarto delle sostanze alimentari; nonché nelle attrezzature, negli utensili e nei macchinari adoperati per la lavorazione e la conservazione dei «prodotti». Peraltro il «controllo» su tali categorie dovrà avvenire nel rispetto delle specifiche normative già in vigore al riguardo e che richiameremo in dettaglio nell’analisi di ulteriori disposizioni in materia da parte del decreto 123/1993.
L’articolo l prosegue, al comma 2, individuando le «finalità” del «controllo»
a) la prevenzione dei «rischi per la salute pubblica»
Significativamente ed apprezzabilmente non si prospetta direttamente e soltanto il «danno» od il «nocumento» del bene pubblico della «salute», ma anche la sua semplice esposizione ad un «pericolo» o «rischio», ovvero qualcosa in meno e di precedente rispetto al «danno» o al «nocumento».
b) la protezione degli «interessi dei consumatori»
Tra questi interessi si è ritenuto opportuno richiamare espressamente anche «quelli inerenti la corretta informazione» che fornisce testuale conferma della stretta relazione che viene riconosciuta tra l’interesse alla «salute» c quello ad una «corretta informazione» sul prodotto alimentare rispetto al potenziale consumatore dello stesso.
• Il garantire «la lealtà delle transazioni commerciali», evidentemente riferendosi a quelle aventi ad oggetto “prodotti alimentari», rimarca in termini inequivoci la valenza «sanitaria» che, quando si tratta di merci di natura «alimentare», il valore della «lealtà» nei traffici commerciali viene necessariamente ad assumere. In pratica si ratifica l’impossibilita, e sicuramente l’inopportunità, di separare – nel campo della distribuzione commerciale di alimenti l’interesse alla «salute» da quello economico-patrimonìale del consumatore e comunque da quello che veda rispettata la sua attesa di «lealtà commerciale» da parte del suo interlocutore venditore. Non è difficile, invero, immaginare frodi od inganni commerciali che, ispirati da un movente patrimoniale nell’operatore economico, possono però – immediatamente o meno e direttamente o meno – ricondurre ad un danno o ad una messa in pericolo od anche, più semplicemente, ad un «mancato incremento» della salute del consumatore.
L’articolo 1 prosegue elencando al comma 3 le «operazioni» in cui si concretizza l’attività di «controllo»:
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3. Il controllo di cui al comma l consiste in una o più delle seguenti operazioni:
a) l’ispezione;
b) il prelievo di campioni;
c) l’analisi dei campioni prelevati;
d) il controllo dell’igiene del personale;
e) l’esame del materiale scritto e dei documenti di vario genere;
f) l’esame dei sistemi di verifica eventualmente installati dall’impresa e dei relativi risultati.
La disposizione non presenta particolari difficoltà interpretative, sennonché merita di essere segnalato il fatto che accanto ed in aggiunta di attività di controllo per così dire «tradizionali» quali l’Ispezione, il prelievo di campioni e l’analisi dei campioni prelevati, vengono espressamente previste operazioni che, in qualche caso, si potevano pure ritenere implicite in quelle «tradizionali». che ora segnano però l’apertura ad una più penetrante investigazione dell’organo di controllo nei più gelosi meccanismi di vita aziendale. Tale, per esempio, l’espressa previsione al punto f) de «l’esame dei sistemi di verifica eventualmente installati dall’impresa e dei relativi risultati».
Peraltro questo approfondimento esplicito dei poteri di indagine trova ulteriori conferme, come tra breve si illustrerà in sede di articolo 2, laddove si esprime in dettaglio l’attività di controllo in una delle sue più significative «operazioni»: l’«ispezione».
L’ampiezza del campo di applicazione del decreto si conferma anche nella disposizione di cui al comma 4, relativa alla «destinazione» dei prodotti sottoposti al «controllo»;
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4. Le disposizioni del presente decreto si applicano nei confronti dei prodotti di cui al comma 1 destinati:
a) ad essere commercializzati nel territorio nazionale;
b) ad essere spediti in altro Stato membro delle Comunità europee;
c) ad essere esportati.
In pratica il «controllo» è operante rispetto a prodotti destinati al consumo in qualsivoglia zona territoriale: nazionale comunitaria o extra-comunitaria.
Peraltro i prodotti alimentari suscettibili di «controllo» non si devono circoscrivere solo a quelli destinati alla «commercializzazione», ma – riteniamo – a qualunque forma di «distribuzione al consumo», anche a titolo gratuito, e quindi non necessariamente nell’ambito di uno scambio commerciale in senso stretto.
A tale conclusione interpretativa è doveroso pervenire non soltanto cogliendo lo spirito della normativa, che mira a tutelare l’interesse del «consumatore” e non solo del semplice «acquirente» dei prodotti alimentari, ma evidenziando la più ampia previsione della norma di cui al successivo comma 5, in cui oltre e prima della fase del «commercio» viene considerata quella della «distribuzione».
In effetti l’intera disposizione del comma 5, con cui si conclude l’articolo 1 del decreto, dà – come già evidenziato nelle precedenti pagine – un segnale inequivoco dell’ampiezza della zona di applicazione della nuova normativa. Si stabilisce infatti che:
Con l’espressione «tutte», riferita già alle originarie fasi della «produzione, fabbricazione, lavorazione», è agevole comprendere come oggetto del «controllo» si vuole sia non solo il prodotto alimentare «finale» o «finito», ma già la semplice «materia prima» od «ingrediente», con una nozione che in pratica equivale a quella di «sostanza alimentare» se non, ed ancor più, a quella di «sostanza destinata all’alimentazione».